
Mistrà: l’inconfondibile liquore marchigiano
Tra terra e mare
Il mistrà è uno dei liquori più tipici della nostra regione. È un prodotto contadino, figlio della conoscenza delle erbe del territorio e di una produzione perlopiù casalinga che procede da oltre due secoli. Il suo legame con la terra è quindi imprescindibile, eppure, ironicamente, è il mare ad averlo portato sulle coste veneziane e da lì nelle Marche, dove incontrerà nuovi aromi e nuovi sapori.
Non a caso il suo parente più stretto è l’ouzo greco, distillato con cui condivide molte caratteristiche.
L’inconfondibile odore di anice del mistrà è il protagonista di questo liquore secco e deciso, dalla gradazione alcolica piuttosto alta, solitamente compresa tra i 40° e i 45°. Nonostante ciò rimane un prodotto versatile, che, come vedremo tra poco, si presta ad usi differenti.

Caratteristiche e preparazione
Il nostro mistrà è un distillato naturale, derivante da una combinazione di piante aromatiche che gli conferiscono il suo personale gusto forte e secco.
La ricetta arriva dal mondo contadino e prevede, come primo passaggio, un processo di infusione di circa dieci giorni, dove all’alcol andranno aggiunti semi di anice (in prevalenza), semi di finocchio, semi di coriandolo e la scorza di un arancio. Si passerà dunque alla breve preparazione di uno sciroppo a base di acqua e zucchero, che andrà fatto raffreddare per essere poi unito all’infuso filtrato.
Il composto necessiterà quindi di almeno un paio di giorni di riposo, al termine dei quali, dopo un ulteriore lavoro di filtraggio, sarà pronto per essere imbottigliato.
Questo processo non complicato ha fatto del mistrà un liquore casalingo e popolare. Poche sono le aziende che hanno intrapreso una produzione su larga scala, e tra queste non possiamo non menzionare la storica Distilleria Varnelli marchigiana, che da più di 150 anni è uno dei simboli della nostra regione per quel che riguarda la fabbricazione di liquori.
Usi e consumo
Già in precedenza abbiamo accennato alla versatilità del mistrà. Nonostante la gradazione piuttosto importante infatti, il liquore può essere degustato in modi differenti, adattandosi a diverse preferenze.
Può essere sicuramente bevuto a secco, senza aggiunta di altro se non, al massimo, di qualche cubetto di ghiaccio; non è raro ad esempio sorseggiarlo in purezza alla fine di un pasto. E, a proposito di fine pasto, molto diffuso è anche il suo utilizzo per correggere il caffè.
Altrimenti, così come succede con altri distillati molto simili quali l’ouzo greco, il raki tipicamente turco o il pastis francese, il mistrà può essere degustato aggiungendovi un po’ d’acqua.
La sua preparazione spesso casalinga inoltre rende possibile assaggiare tante qualità differenti, ognuna peculiare in base agli aromi e ai profumi utilizzati.
Dalla Grecia alle campagne marchigiane
Per conoscere la storia di questo liquore si può partire dal nome. Mistrà (Mistras in greco) è infatti una città greca, situata nella regione del Peloponneso a pochi chilometri da Sparta, considerata nel XVII secolo uno dei principali punti di produzione dell’ouzo. Nel 1687 questo centro urbano fu conquistato dalla Repubblica di Venezia, che ne mantenne il controllo fino al 1715.
Le navi che dall’Egeo facevano ritorno alle coste della Serenissima cominciarono perciò ad importare il tipico distillato greco – forse fin da subito conosciuto come mistrà e non come ouzo -, che in breve tempo si diffuse tra il Veneto e il Nord Italia. Con l’arrivo dei francesi e degli austriaci il suo consumo si fece però sempre più ridotto, e il liquore iniziò a viaggiare verso sud, dove troverà terreno fertile tra le campagne delle Marche, dell’Abruzzo e del Lazio.
Qui, progressivamente, la tipica preparazione greca incontra le erbe e gli aromi tipici di queste regioni, assumendo nel tempo odori e sapori diversi. Proprio questo felice connubio con il mondo contadino del Centro Italia diede al mistrà quelle caratteristiche e quella tipicità che conosciamo ancora oggi.
Inoltre, verso la fine dell’Ottocento, Girolamo Varnelli, attraverso una sua precisa interpretazione della ricetta, creò per la prima volta il rinomato Varnelli, l’Anice Secco Speciale, lanciando una produzione su larga scala ancora florida e fortunata.
